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Arti e periferie

Carissima Lettrice, carissimo Lettore,

Le do il benvenuto a nome mio, dell’Associazione Sensoria, della Fondazione Maurizio Fragiacomo e del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa” dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.

Arti e Periferie. Documentare, raccontare, condividere forme d’arte nei contesti di confine è un progetto integrato, ideato e realizzato da Sensoria con il prezioso sostegno e il supporto della Fondazione Maurizio Fragiacomo, e con la collaborazione del Dipartimento “R. Massa”, composto da tre convegni sui linguaggi artistici in contesti marginali e di periferia; una rete di partner, di amici, e di iniziative parallele; ed un viaggio ricco di contenuti e testimonianze, in presenza e online.

Partiamo dai tre incontri – in presenza presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca ed online – che, attraversando tematiche legate alle arti ed alle periferie urbane ed extraurbane, mirano ad essere occasioni di incontro tra la riflessione scientifico-accademica ed esperienze e manifestazioni concrete di espressività artistica presenti nel territorio. In queste tre occasioni, si interpellano da prospettive e a livelli diversi le possibilità per le arti di veicolare forme di pensiero, di comunicazione, forse di funzione sociale e culturale, che possano essere utili al benessere delle persone e delle comunità; coerenti con i contesti ecologici ed urbani, antropici ed abitativi dei quartieri e dei luoghi; sostenibili in termini sia umani, antropologico-sociali, che ambientali, sistemici, naturali.

Proseguiamo con la costruzione di una rete in divenire di enti partner ed amici del Progetto, che portano avanti le loro agende e programmazioni di azioni e iniziative parallele allo svolgimento dei tre convegni: esperienze, proposte, interventi in presenza e online legate ai linguaggi delle arti e dell’espressività creativa ed alla marginalità, alla perifericità, al confine nelle loro più diverse declinazioni.

Ed infine, in questo breve ma complesso e stratificato percorso, le tecnologie digitali giocano un ruolo meta-tematico: emergono come un argomento in se stesso, all’interno di quello generale che ispira i tre eventi – quello, appunto, della Arti e delle Periferie -. Infatti, Arti e Periferie è anche lo sviluppo di un’attività web, imperniata sui canali internet e social dei partner coinvolti, avente per oggetto materiali, proposte, testimonianze, idee, selezionati e coinvolti ad hoc per questa iniziativa. Siti e pagine online saranno utilizzati in modo tale da dare luogo e vita ad un’emergenza e raccolta di contenuti, ad una organizzazione e messa in relazione reciproca di storie, ad una valorizzazione e promozione di progetti incentrati sulle arti e sulle periferie. 

Le auguro buon proseguimento nella lettura di questa pagina, per scoprire di più intorno al Progetto, alla sua genesi, ed al suo senso più ampio. Ma non dimentichi, in questo sito, le sezioni dedicate ai Partner, agli Amici di Arti e Periferie, ed alle News.

Cordialmente, 

Leonardo Menegola

Firma Leonardo Menegola

Concept del progetto

Questo è un invito a compiere insieme un viaggio, sulle ali delle arti, ai confini dell’antropizzazione. Anzi, due viaggi… e ritorno.

Il primo itinerario ci porta nelle periferie remote delle città, ai confini dell’urbanità metropolitana, ad un passo dal ‘Fuori’, nella foresta di palazzi ed altre costruzioni, nel groviglio di strade e viali, nel brulicare dei centri commerciali, nelle serie di capannoni in fondo alle vie, di archeologie industriali e di altre opere dell’umanità, non di rado incompiute o in stato di abbandono. I confini urbani delle periferie sono lontanissimi dai centri storici. Mentre guardando superficialmente una mappa possono sembrare collocati a pochi minuti dai centri, essi in realtà sono spesso recisi come rami: scissi dalle memorie sopite nei monumenti delle piazze; dal prestigio degli edifici antichi; dal mercato dei locali alla moda; dall’eleganza patinata delle vetrine e dallo scintillare dei loro prezzi. Separati e lontani da ciò, questi quartieri sono gli avamposti della città, sono l’attimo in cui l’urbe lascia spazio alle grandi arterie nazionali di comunicazione, ai campi che ne sono solcati, ai paesi che ne sono lambiti, alle fabbriche ed all’agricoltura industriali, ai canali e agli elettrodotti – che fanno convergere e concentrare, nei febbrili cuori della città, flussi accelerati e formicolanti di capitali e informazioni, risorse ed energie, materiali, merci e persone.

Il secondo viaggio parte da lì, dal confine urbano, e ci dirige geograficamente più lontano, addentrati nel cuore ultimo di quel ‘fuori’, di quell’‘Aperto’, su cui i quartieri marginali della metropoli si affacciano. Se volgiamo le spalle al centro, “là dove c’era l’erba, ora c’è”… un orizzonte diametralmente opposto alla città. Puntiamo verso di esso, per raggiungere i margini estremi dei territori e delle loro geomorfologie; andiamo a visitare il limite delle regioni e degli stati; a conoscere il confine remoto dei flussi centripeti, presso gli spartiacque oro-idrografici, a ridosso della linea naturale di demarcazione delle cose che conosciamo come la nostra quotidiana normalità. Approdiamo ad un passo da forme di espressione che, agli abitanti delle città, cominciano quasi a sembrare esotiche; in luoghi in cui l’evocazione della metropoli suscita nelle persone ora la soggezione ad un’eco, ad un canto di sirene, una brama di urbanità; ora il suo smascheramento, la fiera rivendicazione del proprio essere non-urbani, di appartenere ad una forma anti-metropolitana di communitas. Sono territori connessi alla rete tecnologica, ma non tanto, non sempre. Contesti solo virtualmente vicini, ma che socialmente e fisicamente restano distanti, relegati negli anditi più riposti delle consapevolezze e delle identità centralizzate. Sono le profondità della provincia, margine sfrangiato di dialetti e lingue che più o meno sopravvivono, più o meno scompaiono. Sono luoghi di depressione economica in parte mascherata dall’attività turistica; di pendolarismi cronici di studenti e lavoratori, andirivieni tra province, regioni, stati; di stili e forme di vita che mantengono una residua confidenza con l’elemento naturale (la montagna, il mare, gli altri sistemi e sottosistemi ecologici). Spazi e genti che proseguono una domesticità con il selvatico, che l’urbanizzazione tende inevitabilmente a sopprimere; che si muovono in un’ambivalenza sofferta tra il rallentamento del tempo, il mantenimento, la conservazione, lo sguardo alla tradizione, al passato, da una parte; e, dall’altra, l’incontro, la dialettica, il mescolamento con il radicalmente altro da sé, sia esso confinato oltre il monte, oltre le acque, o sia venuto ad abitare e lavorare in queste ultime propaggini, che dai flussi migratori sono tutt’altro che esentate. 

Questo duplice viaggio è una esplorazione alla scoperta di alcune delle forme d’arte che emergono e si affermano nei contesti di periferia, di marginalità, di confine, in luoghi accomunati dall’energia di una vita che rimette continuamente radici nuove; un’energia che resiste e continua, o che si trasforma e si rinnova, sulla linea tra centro e limite. Tra zone di stasi e di fissità, e zone di passaggio e di sconfinamento. Perché in un’ottica antropologica, è nei luoghi di frontiera che la vita preferisce germinare, radicarsi e concentrarsi. È nei luoghi e nei momenti di passaggio che, assieme al massimo di rischio, si può fare esperienza del massimo di potenzialità creativa, generativa, di senso.

A partire da queste traiettorie multiformi e stratificate, proveremo ad immaginare un ritorno. Un ritorno, ad esempio, all’umano. Il confine fisico, geografico, spaziale, territoriale in questo percorso si rivelerà simbolo di bordi tra gruppi. Ci addentreremo oltre linee che spesso demarcano anche margini di umanità; confini e periferie della piramide sociale, presso i quali la povertà economica e quella educativa, la precarietà lavorativa e quella della salute e del benessere, la divisione delle alterità linguistiche ed etniche, così come quella delle presunte normalità, quella delle fratture generazionali, quella delle diverse abilità, delle forme di sofferenza, di malattia, di disagio, segnano altrettante frontiere.

I limiti da varcare non sono più solo quelli che separano quartieri e territori, ma anche le forme umane. Ed è appunto qui che il nostro sconfinamento si sofferma, per concentrarsi sulle potenzialità delle arti di esprimere i vissuti, le processualità, la dimensione contemporanea di questi luoghi. Per scoprire i cortocircuiti tra diversità e identità, tra passato e futuro, tra vicino e lontano; per vedere ed ascoltare il racconto pulsante dei processi di trasformazione in corso; per affacciarsi sui fenomeni di transizione e di negoziazione che influenzano l’estetica e la narrativa delle diverse forme d’arte, e da queste sono a propria volta influenzati. 

Cosa rappresentano le arti di periferia e di confine, oggi? Quali simboli e storie, quali estetiche e poetiche, quali pensieri e sentimenti, paure e aspirazioni, patrimoni, urgenze, contraddizioni esprimono? Quali sono i pubblici di queste forme? Dove abitano, dove vengono praticate, in che forme?

Sensoria, la Fondazione Maurizio Fragiacomo, il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università degli Studi di Milano Bicocca con PEPAlab – – ed il LISP – – , dopo l’esperienza molto positiva del Ciclo di Webinar “Scuola e Lavoro post-Covid”, promuovono il Progetto Arti e Periferie per scoprirlo insieme e per parlarne.

“Arti e Periferie”: spunti per prospettive di Scienze Pedagogiche, Umane e Sociali

In una contemporaneità nella quale il disagio della civiltà, mutato in disagio dell’urbanità, si acuisce nelle forme postmoderne (Federici 2018) non più solo della metropoli e delle periferie suburbane, ma, specialmente oggi, della metropoli glocalizzata e digitalizzata, l’arte ed in generale le forme strutturate, progettate di espressione e perseguimento di un’esperienza estetica si orientano a qualificare la città dal punto di vista del ‘bello’, a renderla “attraente” (Colleoni e Guerisoli 2014), ad ambire di poterla addirittura “curare” (Cervellati 2000). Da una prospettiva distinta ma contigua, è noto come l’arte possa costituire uno strumento di educazione di grande efficacia e di forte impatto (Read 1954; Zuccoli 2020). Ma quale città con maggiore urgenza reclama bellezza e cura? In un orizzonte di riferimento in base al quale non vi è sostenibilità senza giustizia sociale, e non c’è giustizia sociale senza educazione (Ferrante, Gambacorti-Passerini, Palmieri 2020), il pensiero va alle diverse forme dell’ineguaglianza infra-urbana, intesa latatamente come differenza e scarto, asimmetria e distanza, imparità di opportunità e segregazione, allocazione di risorse che diviene privilegio, da una parte, e, dall’altra, abbandono (Oteri e Scamardì 2020). Per le scienze umane e sociali, la natura delle perifericità urbane si radica nel loro disvelare topografie socio-culturali; cartografie economico-politiche; una urbanistica delle appartenenze identitarie, afflusso di capitali simbolici e deflusso di capitali finanziari.

Lontano dalle metropoli, se da tempo territorio, paesaggio e orizzonte spaziale dell’abitare, del transitare e dell’appartenere locali sono presenti allo sguardo delle scienze umane e sociali come radice delle emersioni identitarie collettive e individuali (Bonesio 1997), gli spazi di confine divengono significativi scenari del segno e della narrazione umani (Malatesta e Anzoise 2009), quelli a forte marchio ‘naturale’ emergono come attivatori di un pensiero morale ed etico (Squarcina 2015), tra il perdersi dell’essere umano (Schmidt di Friedberg 2018, La Cecla 2020) e la spinta a ritrovare e conservare i luoghi ‘non antropizzati’ (Schmidt di Friedberg 2004), per quanto tale stesso concetto possa apparire ossimorico. L’antropologia estetica e dei paesaggi indaga appunto la natura umana di tutti i luoghi in quanto tali, proponendo punti di vista sulle intersezioni e le imbricazioni reciproche tra comunità e luoghi, da cui emergono le possibilità per l’arte di essere fattore di senso per l’affermazione, la negoziazione, la ridefinizione, la condivisione di contenuti, narrazioni non (solo) verbali di natura identitaria (Bargna 2021; Pyatt 2018). Tornando ai contesti urbani, mentre alle frontiere della civiltà – le frontiere più marcate tra lo stato di cultura e quello di natura – si parla appunto di “conservazione”, il discorso – anche “tecnico” – applicato invece ai luoghi ad alta antropizzazione diviene quello del “recupero” (Caterina 2016): recuperare l’urbe, conservare la natura – questo il particolarissimo cortocircuito che la contemporaneità ci dà da pensare.

È qui, tra conservazione e recupero, da una parte, e, dall’altra, “valorizzazione” e “riqualificazione” – per citare due altri termini ‘caldi’ del discorso sociale sul senso dell’abitare e dell’incontro tra comunità umane e ambiente di vita -, che le arti sperimentano nuove forme di emersione locale, di infiltrazione e penetrazione tra le maglie, spesso, appunto, del disagio, del neglect, dell’abbandono, del disvalore, della separazione, dell’ingiustizia. Sono forme espressive ed estetiche che possono essere a volte lette – e spesso ambiscono in qualche modo ad apparire – come narrazioni della, commenti alla, dialogo con la e nella vita comunitaria e nello spazio antropico. Emergenze spontanee ed autentiche che più o meno consapevolmente possono essere interpellate come ipotetiche istanze di una auto-educazione urbana – laddove un’educazione aperta e all’aperto (Guerra 2020), l’esplorazione (Guerra 2019; Cagol, Calvano e Lelli 2020), ed infine l’azione partecipata in spazi pubblici (Guerra e Ottolini 2019) rappresentano opportunità e spesso bisogni umani sempre più spesso disattesi nell’urbanità contemporanea. Il discorso sociale e pedagogico si orienta allora verso altre parole-sentinella: ad esempio, “riappropriazione” (Zuccoli e De Nicola 2019), a sublimare il discorso della valorizzazione e del recupero dei luoghi non nella direzione della progettazione architettonica, urbanistica e delle arti statiche, ma in quella della partecipazione, dell’azione-intervento e della performance.

L’espressività artistica può, dunque, oltre che narrare o abbellire, per l’appunto ‘curare’, come si accennava sopra. Oppure “riscattare” (Di Sirio 2014); generare senso, contenuto, discorso che, spesso a sua volta risucchiato in dinamiche interpretative ed appropriazioni culturali o finanziarie, ri-orienti la polarizzazione tra centri e periferie (Gansinger 2019, Castellote e Okwuosa 2020; Ladd 2000; Klein 2016; Duarte 2020); produrre un impatto durevole su valori etici e civici, sulla sfera delle relazioni sociali (Kupfer 1983); diventare, nel suo definirsi e declinarsi nelle periferie e nei margini, un campo specifico, a sé (Paquet 2008)

La parte tecnologica: il digitale al servizio del benessere di comunità e della partecipazione attiva e critica

Si propone lo sviluppo di un’attività web, imperniata sui canali internet e social dei partner coinvolti, avente per oggetto i materiali, le proposte, le testimonianze, le idee selezionati e coinvolti ad hoc per questa iniziativa. Si intende infatti coordinare la parte di comunicazione sociale del progetto con particolare attenzione al mondo delle tecnologie digitali, in modo da far sì che i siti e le pagine online dei vari soggetti partecipanti ad “Arti e Periferie” – sia organizzativi e collettivi, che personali e individuali – possano essere utilizzati per dare luogo e vita ad un’emergenza e raccolta di contenuti, ad una organizzazione e messa in relazione reciproca di storie, ad una valorizzazione e promozione di progetti incentrati sulle arti e sulle periferie. Così, nel pur breve ma complesso e stratificato percorso di “Arti e Periferie”, si mira ad attribuire alle tecnologie digitali un ruolo meta-tematico: esse emergono cioè come un argomento in se stesso, all’interno di quello generale che ispira i tre eventi.Arti e Periferie, infatti, intende non solo dare la parola a studiosi, autori, ricercatori ed esperti, ma anche ed in egual misura, a livelli diversi, offrire visibilità e ascolto a due distinti tipi di mediatore non-verbale. Da una parte, le Arti, in varie forme e manifestazioni. Dall’altra, il digitale, le sue interfacce, le sue “tecnologie cognitive” (Calvani 2019). Ci misuriamo sui modi in cui non solo le Arti, ma anche le tecnologie digitali possano divenire, per i territori e le comunità, un veicolo di senso, un mezzo di benessere, una funzione di comunità, per quanto possibile attivamente e criticamente partecipato, negoziato, conteso, condiviso, co-costruito. Gli strumenti offerti dalla rete, in altre parole, diventano risorse per creare un ponte sinergico tra centri e periferie, e tra diverse periferie (Schreibman 2012, Bürgin et al 2021, Pal 2020; Kent 2012), che a tratti possono esprimere potenzialità di senso creative o innovative (Rietmann 2021; Pipan 2021; Barbera e Parisi 2019; Safadi, Johnson e Faraj 2021; Levy 2018). Gli strumenti tecnologici possono essere progettati avendo in mente istanze di partecipazione attiva, di protagonismo (Cogo 2011;  Szczepanik et al 2020)?

Riferimenti

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